“Io penso che la mia vita non sia stata una favola. E se è, come è, una esperienza duramente vissuta, ambisco solo raccontarla ai giovani della mia Arma.
                    Con questa riflessione del Generale Carlo Alberto dalla Chiesa inizia il percorso della Mostra che vuole ricordare i quarant’anni della sua morte, ucciso per mano mafiosa il 3 settembre 1982, a Palermo, con la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente Domenico Russo che faceva da scorta alla A112 sulla quale i due viaggiavano.

                    Un Uomo, innanzitutto, un Generale. Che da giovane sottotenente dell’Esercito nei tragici anni della Seconda Guerra mondiale partecipò, e questo fatto non è da tutti conosciuto, alla guerra di Liberazione che diede onore e dignità a un popolo ferito e sanguinante, il popolo italiano. Capitano dei Carabinieri, figlio di un Generale dell’Arma, una famiglia che aveva, ha, nel suo DNA, un motto che non è semplice retorica ma verità storica: “Fedele nei secoli”. La prima battaglia contro Cosa Nostra a Corleone, in Sicilia, la lotta al banditismo, l’assassinio del sindacalista Placido Rizzotto, il boss Luciano Liggio, primo nemico di Carlo Alberto dalla Chiesa. Seguono anni di brillante carriera, encomi, ruoli di primissimo piano nella sua amata Arma, sempre al servizio, a costo di indicibili pericoli, di quello Stato cui Carlo Alberto dalla Chiesa fu sempre fedele servitore.
                    Milano, Torino, gli anni terribili del terrorismo, il coraggio e il carisma che suscitava negli uomini che collaboravano con lui. Lo temevano, lo rispettavano, soprattutto lo amavano, e molti, troppi, sono rimasti sul campo insanguinato della barbarie senza senso dei terroristi. Un Generale, certo, un Soldato, ma anche un marito devoto, che perse la prima moglie, Dora Fabbo, conosciuta da giovane studentessa, uccisa da un infarto, “un’altra vittima del terrorismo”, come disse il sacerdote nell’omelia del funerale. Un padre devoto, innamorato della sua famiglia, Rita, Nando, Simona, che tutti noi dell’Arma sentiamo anche come figli nostri.
                    Il caso Moro. La strage di via Fani a Roma, quell’indimenticabile 16 marzo 1978 e, 55 giorni dopo, il ritrovamento del corpo dello Statista, barbaramente ucciso dalla ferocia terrorista. Carlo Alberto dalla Chiesa, nominato Prefetto a Palermo, in soli cento giorni conseguirà importanti successi nel contrasto ad una mafia sempre più agguerrita, sanguinosa, spietata. Fino al sacrificio supremo, il 3 settembre 1982. Fino a quella vigliacca telefonata, il 5 settembre, due giorni dopo l’attentato omicida, al quotidiano La Sicilia: “l’operazione Carlo Alberto è conclusa”.

                    Questa Mostra, questa celebrazione della vita e dell’opera di un fedele servitore dello Stato, si conclude con la frase del generale Carlo Alberto dalla Chiesa che dà il senso finale e nello stesso tempo il sigillo della sacralità dell’evento: “Certe cose non si fanno per coraggio, si fanno solo per guardare più serenamente negli occhi i propri figli e i figli dei nostri figli

Il Comandante Generale dell'Arma dei Carabinieri
Gen. C. A. Teo Luzi